Argentina centro-settentrionale (Salta, Chaco, Catamarca, Tucuman, Santiago de Estero, Córdoba, Santa Fe), Bolivia, Paraguay.
Si tratta di una specie con attività diurna, fortemente arboricola, anche se non è raro vederli spostarsi per via terrestre, che popola foreste e “savane boschive”, ove si nutre di micro-mammiferi, piccoli sauri ed anfibi.
Il carattere è abbastanza calmo, oserei dire timido, generalmente non aggressivo, anche se le movenze “agitate” e nervose fanno pensare il contrario.
Colubride longilineo di dimensioni contenute, solitamente maggiori per le femmine, che possono raggiungere dimensioni medie comprese tra 150cm e 180cm, e minori per i maschi, che oltre ad essere più corti rispetto alle femmine, spesso mantengono anche una corporatura più esile (in ogni caso proporzionata alla lunghezza).
La testa è piccola ed allungata, poco distinta dal corpo, e caratterizzata dal prolungamento delle squame rostrali, che formano una protuberanza simile ad un piccolo corno o ad un piccolo naso. Gli occhi non sono sporgenti e la pupilla è circolare.
Il corpo è solitamente verde, anche se esistono esemplari tendenti all’azzurro. Spesso, ma non sempre, sono presenti linee longitudinali nere, più o meno marcate ed estese, due sui fianchi, che partono dalla punta del muso e toccano la parte inferiore dell’occhio, e separano la colorazione dorsale da quella latero-ventrale, ed una dorsale che inizia subito dietro il cranio. Queste linee si estendono solo nella prima parte del corpo (solitamente sino ad un terzo o metà).
Il ventre sfuma dal bianco al giallo al verde al bruno: l’estremità inferiore del cranio (parte inferiore del rostro compresa) è solitamente bianca, spesso con leggere sfumature verdi o azzurre, e man mano che si scende in direzione caudale la pigmentazione tende sempre più ad assumere il colore del resto del corpo. Alcuni esemplari, solitamente quelli che mostrano le suddette linee nere longitudinali più marcate, hanno il ventre più scuro.
La coda è molto lunga e sviluppata.
Se disturbati o spaventati, emettono dalla cloaca una sostanza maleodorante, ma non particolarmente forte rispetto ad altre specie.
Oltre alle già citate dimensioni, altro segno di dimorfismo sessuale pare essere il maggior sviluppo delle squame rostrali nei maschi rispetto alle femmine, ma questo parametro non è certamente affidabile dato che, ad esempio, tra nostri due esemplari la femmina è quella che presenta un rostro maggiormente visibile.
Si tratta di un serpente opistoglifo, cioè dotato di denti veleniferi, poco più lunghi degli altri, posti nella parte posteriore della mascella superiore (da qui il nome comune rear fanged), che presentano una scanalatura esterna sulla quale è fatto scorrere il veleno in seguito alla premitura delle ghiandole di Duvernoy, tramite la masticazione della preda.
Il veleno non è molto attivo, ha proprietà emorragiche e neuro-attive. Le proteine con azione emorragica causano un edema localizzato alla zona del morso, mentre le sostanze neuro-attive provocano un’insistente parestasi, un bruciore formicolante, sempre localizzato. I linfonodi si ingrossano e possono comparire emorragie petecchiali.
(Kuch e Jesberger, nel 1993, riportano di un caso di avvelenamento avvenuto in Argentina, in cui un animale di 90cm circa ha morso un uomo di 22 anni, risolto in 48 ore)
Essendo Philodryas baroni una specie arboricola ed abbastanza attiva, necessita di un terrario che abbia un consistente sviluppo in altezza, non meno di 50cm.
Stabuliamo i nostri esemplari ad una temperatura diurna di circa 27-28°C, scendendo la notte sino a circa 23-24°C (limitati da quanto la temperatura ambientale, legata alla stagione, ci permette). Un gradiente termico di un paio di gradi è sempre gradito, e da modo al colubride di termoregolarsi secondo le proprie esigenze.
L’umidità deve essere medio alta, tra 70% e 80%, mai eccessiva, abbinata ad una buona ventilazione del terrario. Ci limitiamo a nebulizzare i nostri esemplari ogni due o tre giorni, a volte anche più radamente.
Oltre alla ciotola dell’acqua ed una o più tane (alcuni esemplari le utilizzano molto, soprattutto in assenza di ripari aerei), l’altezza della teca deve essere ben sfruttata, tramite l’inserimento di rami e/o piante. Se sui rami, con l’ausilio di piante vere o finte, si riescono a creare zone riparate e protette, queste verranno da subito “occupate” da Philodryas baroni, preferendole alle tane a terra.
Nonostante si tratti di una specie non particolarmente esigente, e di contenute dimensioni, e seppur il veleno di questo serpente sia poco attivo, si tratta pur sempre di un serpente opistoglifo, quindi velenoso, e per questo motivo l’allevamento di questa specie dovrebbe essere riservato a chi abbia già una discreta dimestichezza con altre specie non velenose.
Angelo Cabodi
Silvia Tangredi
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